La condanna a morte di Socrate resta uno dei più grandi misteri della storia nonostante siano state scritte montagne di libri sul processo che si svolse ad Atene nella primavera del 399 avanti Cristo. Quell’evento epocale ci è stato raccontato da Senofonte e soprattutto da Platone, che al maestro ha dedicato molti dialoghi. Fra questi «L’apologia di Socrate», quasi un resoconto dell’autodifesa del filosofo.

Socrate fu accusato di empietà e di aver corrotto i giovani, ma in realtà fu immolato alla ragion di Stato. Gli spartani di Lisandro avevano vinto la guerra del Peloponneso e avevano conquistato Atene, sostituendo la democrazia con un regime affidato a trenta aristocratici che spadroneggiarono opprimendo la popolazione con vendette e rapine.

 

Un gruppo di esuli ateniesi, guidato da Trasibulo, riuscì a liberare la città e ripristinò un governo democratico moderato. Fu proprio questa nuova classe dirigente a mettere sotto accusa l’insegnamento del filosofo, nonostante Socrate avesse resistito e combattuto il regime dei Trenta. Il potere di Trasibulo si appoggiava a frange conservatrici che avrebbero voluto portare Atene alle strutture politico-sociali anteriori all’età di Pericle.

Questi erano forse convinti che uno dei fattori determinanti del processo di disgregamento fosse stato il movimento culturale del cosiddetto illuminismo greco. E Socrate era unanimemente considerato il più caratteristico rappresentante di quel movimento intellettuale.

I democratici speravano di ridurlo al silenzio e, magari, di spedirlo in esilio, com’era capitato qualche anno prima a Protagora e ad Anassagora. Ma così non fu. Socrate ci mise del suo per farsi condannare. Contro di lui si accanì l’opinione pubblica, soprattutto il popolo, frastornato dalle pungenti osservazioni di questo filosofo, che si definì «tafano».

Inoltre, era rimasta nella memoria di Atene la rappresentazione, qualche anno prima, delle «Nuvole», la commedia nella quale Aristofane demoliva i filosofi. Socrate non accettò le accuse, ma anzi denunciò i suoi accusatori pronosticando guai per Atene. Respinse i sospetti di aver offeso gli dèi, disse che non aveva corrotto i giovani, ma poi si lanciò nella più orgogliosa delle apologie, proclamandosi investito dagli dèi nella missione di rivelare la verità e di salvare Atene. Gli scrutini furono due: sia il primo sia il secondo lo videro soccombere e fu condannato a morte.

Accettò di morire nonostante i suoi allievi avessero organizzato la fuga: «Se scappassi – disse – commetterei, un’altra ingiustizia». Platone, suo discepolo, volle illustrare l’autodifesa del suo maestro, rivivendola e ripensandola in una forma poetica e drammatica: è l’Apologia di Socrate.